Grazie, grazie a tutte e a tutti. Scusate, parlerò molto rapidamente perché vorrei dire varie cose. Mi muoverò su tre assi:
1) eredità e significato storico politico della riforma più innovativa della storia dell'Italia repubblicana, cioè quella che porta all'istituzione ricordata del Servizio Sanitario Nazionale
2) limiti delle politiche sanitarie degli ultimi anni
3) e orizzonti del futuro.
I limiti, come è stato appena detto, sono inquadrabili nel più ampio percorso di trasformazioni che sono subentrate a partire dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e che hanno depotenziato quella riforma con processi di privatizzazione e definanziamento della sanità pubblica, di riduzione dei servizi per la salute e di quelli in generale del Welfare, nel quadro più complessivo di una riconfigurazione dell'intervento dello Stato rispetto al mercato, dell’entrata di attività private e logiche di profitto nel campo dei servizi pubblici, e nel quadro di un progetto più ampio di mercificazione di salute, ma anche istruzione, ricerca, cultura, ambiente. Vorrei fare però una premessa: un servizio sanitario, in grado di garantire una copertura universale finanziato tramite la fiscalità generale, è stata ed è l'unica organizzazione capace di affrontare con efficacia una condizione come quella del covid. Nessuno schema di assicurazione privata potrebbe infatti a mio parere affrontare con la stessa ampiezza e disponibilità di risorse un evento come quello tragico che viviamo da un anno.
Ora, le debolezze riscontrate in questi lunghi mesi, in questo anno, hanno riportato in realtà in primo piano le insufficiente delle condizioni precedenti che riassumerei molto rapidamente:
1) riduzione delle risorse destinate alla sanità pubblica
2) rafforzamento e ruolo sostitutivo della sanità privata
3) indebolimento dell'assistenza e della medicina territoriale
4) riduzioni e difficili condizioni di lavoro del personale sanitario
4) accentuazione delle disuguaglianze sociali e territoriali
5) riproporsi del noto dualismo tra nord e sud
6) marginalizzazione della prevenzione dell' approccio epidemiologico
7) debolezza di una regia centrale
8) derive regionaliste.
Ora, alla luce di ciò, io credo che sia fondamentale tornare ad alcuni fondamenti di quella riforma del ’78, ricordando però che essa fu il prodotto di quanto agito durante gli anni Settanta, quando cioè si diede vita ad esperienze, sperimentazioni, pratiche di lotta e conflitti che per certi aspetti non hanno eguali nella storia italiana. Le vicende del SSN si combinarono e furono espressione dell'emergere di nuove collettività, di una forte pressione dal basso, ma anche e soprattutto di un'aspirazione più profonda - trasformativa - di tutto l’assetto sociale e istituzionale. Io credo appunto che il servizio sanitario nazionale fu espressione di quella che potremmo chiamare una “politica della coalizione delle alleanze”, e di una prospettiva alla quale oggi io credo che sia necessario più che mai, come dimostra questa assemblea, puntare. In questa politica delle alleanze si saldarono le conquiste del movimento operaio e sindacale, le pressioni portate avanti dalle varie realtà di movimento - quello femminista, quello studentesco quello di lotta per la salute, quello cosiddetto della psichiatria radicale - accompagnate da pratiche di deistituzionalizzazione - penso soprattutto ai manicomi e alla follia - ma anche a processi istituenti capaci di creare, produrre, inventare, immaginare nuove istituzioni alternative, trasformative dei rapporti di potere che potessero far fronte ai bisogni misconosciuti dello Stato e della famiglia; istituzioni nelle quali l'autonomia della riproduzione sociale sfidasse chi gestiva, riformava o anche inventava nuove istituzioni. Ecco, i conflitti di quel periodo storico attorno al Welfare in generale, e le sperimentazioni territoriali e istituzionali che si diedero, riuscirono a prospettare un nuovo modello di welfare opposto a quello tradizionale italiano. E, in questo senso, ci fu una rottura molto netta che oggi non solo va ricordata ma, appunto, va in qualche modo rinnovata; ossia il fatto che il dibattito sulla salute si aprì a nuovi orizzonti e intercettò domande di cambiamento più complessive che informavano anche i conflitti sociali di quegli anni. In questo senso si parla di “origini politiche” dell'aspetto universalista, pubblico e decentrato del SSN che rispose e risponde (in teoria) a un’impostazione della Salute come fatto sociale e politico, a una visione integrata dell'intervento sanitario e di quello sociale, alla centralità del momento preventivo dell' approccio epidemiologico, e a un organizzazione periferica e territoriale; a un impegno tra l'altro diffuso capace di investire anche le questioni legate alla tutela dell'ambiente. E non a caso furono coinvolti numerosissimi attori, pratiche di lotta e ambiti di ricerca. E, ad accomunare quei protagonisti - e questo è quello che vorrei sottolineare anche per le battaglie dell’oggi – fu una visione unitaria e integrata della salute (fisica e psichica, individuale e collettiva) e fu anche una concezione politica dell'ambito medico-sanitario e la riconduzione della salute a fatto sociale. Oltre al fatto che tutto questo si sommò a una nuova impostazione del rapporto tra i medici e pazienti e a una gestione diretta e partecipata della salute e alla centralità del momento preventivo rispetto a quello curativo. E si doveva in questo senso mirare, e si deve mirare, a un nuovo rapporto tra la salute ambientale e l'organizzazione del lavoro. Si deve saldare prevenzione e partecipazione, riconfigurare attraverso questo le relazioni di potere tra i cittadini e le istituzioni, uscendo peraltro da una relazione solo individualistica del rapporto tra malato e sistema sanitario. In questa chiave il ruolo stesso della medicina - all'epoca, ma credo che sia fondamentale ribadirlo oggi – giungeva a investire tutto lo spazio della comunità ed era il portato di istanze più complessive di trasformazione e di democratizzazione che dovevano coinvolgere tutti gli assi centrali della vita, tutti i rapporti sociali di produzione e riproduzione sociale.
Ora nei punti forti di quella riforma ci sono lezioni anche per l’oggi e per il domani, ossia: 1) la globalità degli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione 2) la predilezione per la prevenzione 3) la programmazione, e oggi va ribadito più che mai, degli interventi (legati anche con piani economici e territoriali legati anche all'assistenza sociale) 4) il decentramento anche democratico delle funzioni 5) la partecipazione dei cittadini, degli operatori e degli utenti alla gestione dei servizi 6) e soprattutto l’accento epidemiologico. La consapevolezza di allora come di oggi è che il diritto alla salute richieda interventi nei campi più ampi: scuola, ambiente, assistenza, ambiente di lavoro e di vita, politiche economiche, a partire anche - come è stato ricordato - dal legame profondo che esiste tra la salute di ognuno di noi e ognuna noi e le condizioni della sfera ambientale in cui ciascuno e ciascuna vive, lavora e interagisce; un concetto ampio di Habitat. E non a caso l’oggetto del diritto alla salute in una dimensione che sia individuale e relazionale deve tener conto di tutto questo. Allora io credo che dobbiamo puntare a:
A. riqualificare il servizio sanitario pubblico ripensando al “
modello” di sanità pubblica
B. rimettere la salute al centro della politica aprendo nuovi fronti di lotta e di mobilitazioni, possibilità concrete di cambiamento
C. connettere il discorso alla salute a quello di un ripensamento universalista e democratico del Welfare
D. rilanciare un nuovo protagonismo della politica e dei soggetti
Concludo dicendo che questo ripensamento si deve fondare su un'espansione delle istituzioni dei servizi collettivi di welfare, sulla rimessa in campo del principio dell'integrazione socio-sanitaria, su una federazione delle lotte, sulla prevenzione collettiva, l'assistenza territoriale, la rete dei servizi di base, su una lotta rispetto ai vaccini bene comune contro una sudditanza ai Big Pharma, in una dimensione cooperativa e internazionalista contro le logiche nazionaliste e protezioniste che invece abbiamo visto finora prevalere. Grazie.