Trovo che ci siano molti elementi interessanti che stanno sul piatto e nelle corde di futuri percorsi, di discussioni, di mobilitazione. Mi piacerebbe partire dallo slogan dello striscione che abbiamo esposto ieri sotto il ministero delle infrastrutture, rinominato ministero delle infrastrutture sostenibili, uno striscione che diceva “senza casa non c'è salute”. Questo slogan ce lo siamo portato, lo abbiamo ragionato e rielaborato da quando è iniziata questa pandemia o sindemia, perché ovviamente riteniamo che il legame tra casa e salute (un’idea ovviamente che sia veramente più complessiva e integrale di che cosa sia la salute di una persona) è qualcosa che ovviamente noi includiamo dentro il nostro percorso sull'abitare da diverso tempo.
La pandemia ha chiaramente messo in luce alcuni aspetti specifici che abbiamo riportato anche ieri nel corso dell'incontro che abbiamo avuto con il sottosegretario al ministero, e anche se comunque in realtà la giornata di mobilitazione per noi era iniziata con un picchetto in solidarietà a una famiglia nel quartiere di Torpignattara, una donna sola con due figli che è stata costretta dal padrone di casa a pagare per due anni un affitto a un canone esorbitante, per altro in nero, perché si rifiutava di regolarizzarlo. Quando lei ha perso il lavoro ha deciso che fosse il caso di buttarla fuori di casa e, siccome lei non voleva andarsene di sua spontanea volontà, di vandalizzare l’appartamento, staccarle le utenze e cosìvvia.
Abbiamo seguito questa storia come movimento per il diritto all'abitare, Asia, Noi restiamo, Campagna sciopero degli affitti, e l’ho raccontata ora perché è emblematica di una serie di questioni e di passaggi che abbiamo portato al ministero. Prima di tutto ci è stato detto dall'inizio della pandemia che stare a casa era l'unica cosa che si doveva fare per tutelare la salute individuale e la salute collettiva. É intuitivo e immediatamente molto comprensibile il fatto che se non si ha una casa, se si viene sfrattati, sgomberati, buttati fuori, evidentemente questa possibilità venga negata. Così come, per chi avesse avuto il piacere di leggersi le linee guida dell’Oms rispetto a come ci si dovrebbe comportare in casa per mantenere la sicurezza avendo il covid o avendo in casa una persona contagiata, ci si riferisce a uno standard alloggiativo che è ben lontano dall’esperienza di chi banalmente per esempio è studente o studentessa e vive in alloggi condivisi, chi vive in condizioni di sovraffollamento, chi comunque non si può permettere, tanto per dirne una, di avere una casa con due bagni di cui poter usufruire separatamente.
Chiaramente c'è una questione che quindi attiene al fatto che in questa fase non si possa e non si debba pensare di buttare la gente in mezzo alla strada con gli sfratti che stanno continuando ad avvenire, perché ormai il blocco degli sfratti riguarda solo le morosità incolpevoli che sono una grossa parte ma non sono evidentemente il totale, oltre che tutte queste norme oltre a essere dei tamponi, scusate il gioco di parole visto il periodo, insufficienti ma evidentemente non risolvono la situazione di chi ad esempio si trova in nero.
C'è poi un tema che attiene al come si sta dentro alla casa, che cos'è la casa: la casa è lo spazio del ripiegamento privato o è uno spazio di costruzione del benessere collettivo? Dentro gli spazi occupati abbiamo percorso anche per necessità questa seconda strada e da quando è iniziata la pandemia ad esempio abbiamo fatto formazioni con gruppi, Ong, medici senza frontiere, rispetto ad esempio alla sanificazione degli ambienti comuni, come comportarsi nel caso in cui ci fossero contagiati, che tipo di atteggiamento tenere per garantire l'auto-tutela sanitaria di tutti e di tutte.
Questo ci ha permesso anche nel caso in cui ci fossero stati dei contagi di affrontare la situazione, di discutere ad esempio di materie come quella dei vaccini senza la spocchia di chi deve spiegare a qualcuno come si deve campare, ma spiegando le cose in maniera chiara e diretta e avendo anche un dibattito che fosse aperto senza lo stigma rispetto a chi è contagiato.
Un altro aspetto fondamentale che abbiamo dovuto portare al ministero chiaramente è stato affrontare direttamente le conseguenze dell'articolo 5 del piano casa Renzi-Lupi che è ancora in essere, che durante la pandemia hanno avuto un ulteriore rinculo. Pensate banalmente a chi non ha il medico di base, chi magari non è registrato presso il sistema sanitario nazionale; il fatto di fare un tampone e essere “irreperibili” pur non essendolo perché si vive dentro un’occupazione è stata una contraddizione con la quale ci siamo confrontati. Abbiamo avuto anche ad esempio bambini e bambine a cui veniva negata l'iscrizione a scuola o il rientro a scuola perché sprovvisti della residenza e quindi i dirigenti scolastici sostenevano di non avere accesso ai loro dati e di non poter verificare che le vaccinazioni fossero a posto, eccetera.
Queste sono questioni sulle quali ripeto purtroppo ci cimentiamo dal 2014 e sulle quali abbiamo intrecciato percorsi comuni con altre soggettività. Stamattina Barbara del Coordinamento regionale sanità ha illustrato pezzi di percorso che stiamo portando avanti. Chiaramente noi quello che vogliamo fare, ed è il terzo e ultimo punto sul quale mi vorrei soffermare nel tempo che mi rimane, è aprire percorsi che siano di contrattazione sociale, tanto sul tema delle politiche abitative quanto sulla questione della sanità; e per ripristinare i servizi territoriali credo che sia fondamentale coniugare appunto le pratiche di mutualismo, i percorsi che noi portiamo avanti che riusciamo a mettere in campo autonomamente con la pretesa di una presa in carico di responsabilità da parte delle istituzioni competenti che non si possono e non si devono lavare le mani di quello che sta accadendo.
Questo vale tanto per le istituzioni di prossimità, quanto per quelle a livello centrale.
Su questo in alcune occupazioni abbiamo avviato dei percorsi sperimentali di sportelli proprio con le Ausl dove affrontiamo le pressioni relative all'articolo 5 a questo lo consideriamo un passo positivo, ma per noi il vero passo positivo sarà quando l'articolo 5 sarà abolito e chi vive dentro un’occupazione abitativa o in un alloggio di edilizia residenziale pubblica occupato per necessità, potrà andare dal medico di base e accedere a tutti i servizi come sarebbe suo diritto, come chiunque senza dover passare attraverso questi strumenti.
Chiaramente ripeto in questi casi, quando si tratta di queste questioni, noi ci auguriamo che anche un percorso di interlocuzione con quello che si fregia essere un ministero delle infrastrutture sostenibili dovrebbe andare avanti. Ci sarebbe anche tanto da dire su che tipo di abitare ci immaginiamo, che sia anche ecologicamente compatibile.
Per esempio da tempo diciamo che gli alloggi che mancano per la crisi abitativa si potrebbero tranquillamente recuperare attraverso il patrimonio sfitto inutilizzato e in disuso anche non residenziale, cosa ci sarebbe di più sostenibile? Però questi sono tutti punti che ci portano a un nuovo concetto di salute come parte per il diritto alla città.
Per noi la battaglia deve essere evidentemente questa, quindi abbiamo preso questo slogan “senza casa non c'è salute” come un'occasione di affrontare questi temi.
Speriamo di riuscire ad ampliare il più possibile il discorso dentro questa crisi perché noi sappiamo bene che questa non è non è un'emergenza, ma è una crisi di sistema.