Una breve introduzione sul nostro progetto. “Obiezione respinta” rispetto ad altri progetti che si citavano non è nata durante il lockdown, ma ha una storia di quattro anni che va in parallelo e insieme a Non Una Di Meno. Siamo un progetto transfemminista che mappa l'obiezione di coscienza in Italia, infatti quello di cui parlerò oggi è incentrato su alcuni di quei corpi che hanno subito la quarantena e in particolare i corpi di quelle donne e quelle soggettività trans e non binarie che si sono ritrovate a dover interrompere una gravidanza durante il lock down e su cui noi abbiamo provato a dare supporto.
Noi nasciamo come progetto di mappatura dell'obiezione di coscienza ma col tempo la pratica del mutualismo e del mutuo aiuto è diventata necessaria, nei termini in cui ci siamo rese conto, aprendo la piattaforma, della necessità da una parte di informazione, dall'altra seriamente di aiuto di tantissime persone che nella situazione anche pre-pandemia italiana rispetto all'accesso all’Ivg si trovano assolutamente sole, isolate e spaesate.
Tutte le contraddizioni che non vi sto qui a raccontare rispetto all'accesso all’IVG in Italia - dovute alla legge 194 che nella pratica non permette realmente a causa in particolare dell'obiezione di coscienza l'accesso all'aborto, durante la pandemia, in un momento in cui ci siamo ritrovati da un giorno all'altro, in particolare dal 9 marzo dell'anno scorso, chiuse in casa senza la possibilità per esempio di spostarsi in un'altra regione per accedere a quel diritto - tutte queste contraddizioni ci sono esplose in mano e come attiviste, insieme alla rete di Non Una Di Meno, abbiamo cercato di supportare tutte queste persone (stiamo parlando di più di un centinaio di persone che da marzo a luglio ci hanno chiesto aiuto e informazioni).
Questo perché appunto come me citava prima Silvia il fatto che alcuni reparti essenziali sono stati sospesi o trasferiti, molti reparti d’IVG in Italia sono stati trasferiti. Immaginatevi una situazione in cui in certe città esiste un solo anestesista, un obiettore, per esempio se da quell’ospedale questo anestesista veniva spostato nell’ospedale covid: in quella città saltava l'accesso all'aborto.
Anche il paradosso che c'è stato fino all'estate scorsa e che solo adesso si sta rimettendo in discussione: il fatto che siamo l'unico paese in Europa in cui l'accesso al farmacologico è più difficile dell'accesso al chirurgico, nel senso che durante in particolare la pandemia continuava a rimanere la questione dei tre giorni di ospedalizzazione dopo l 'utilizzo della ru486, quando invece c’è il day hospital per il chirurgico.
Questo ha portato al fatto che tanti ospedali hanno deciso di sospendere proprio l’aborto farmacologico tra le operazioni perché appunto occupava troppi posti letto per troppo tempo, quando c'erano nazioni come l'Inghilterra e la Francia che hanno iniziato a sperimentare la telemedicina proprio a partire dal problema della pandemia.
Quindi a partire da questa questione noi abbiamo provato a mettere in atto quello di cui stava parlando anche Jennifer, ovvero la cura radicale; quindi provare tramite gli strumenti dal basso a dare una risposta che fosse sistemica a questa crisi. Una risposta che parlasse di sorellanza, di pratiche mutualistiche, che contribuisse a creare una comunità.
Questo è effettivamente avvenuto, nel progetto è sempre avvenuto, perché il progetto di obiezione respinta, la mappatura dell'obiezione di coscienza parte dalle esperienze di tutte, fin dalle esperienze delle donne e delle persone che abortiscono, che si trovano male in quello specifico ospedale o consultorio, che ci mandano la loro segnalazione. Quindi come progetto aveva già in sé la questione del mutualismo della comunità, del mettere in rete le proprie esperienze, di riconoscersi nelle esperienze delle altre e di fare di queste esperienze qualcosa di concreto: delle rivendicazioni.
Durante la pandemia, ancora di più con Non Una Di Meno nazionale, dopo due mesi di lavoro di questo tipo abbiamo deciso di lanciare la campagna SOS aborto in cui chiedevamo appunto al governo a partire dai due mesi distruttivi in cui si era visto a tantissime negato il diritto all’IVG, delle modifiche nelle linee di indirizzo della ru486 che prevedessero appunto il day hospital e non l'ospedalizzazione di tre giorni, che prevedessero l'utilizzo della rru486 nei consultori.
Sui consultori mi fermo un secondo perché appunto si è parlato di medicina territoriale e si è parlato di cura da un punto di vista più sistemico: Anna Clara parlava della cura come strumento necropolitico e di come cercare di smontare questa questione. Sicuramente i consultori come presidi territoriali devono essere al centro rispetto alla salute sessuale e riproduttiva. Come spazi che hanno una storia molto particolare, molto situata, una storia sessuata, femminilizzata, nascono negli anni '70 come spazi delle donne e comunque rimangono nonostante gli anni di smantellamento del welfare statale e di smantellamento dei consultori a favore dei consultori privati e cattolici. Rimangono i primi spazi, e questo lo dice il ministero della salute a cui ci rivolgiamo quando dobbiamo fare un IVG, in particolare per il certificato.
Questi sono stati i primi spazi in realtà a chiudere, o comunque ad aprire a singhiozzo durante la pandemia. E invece pensiamo che siano i primi spazi su cui sia importante fare una lotta politica - motivo per cui tra le nostre richieste, che sono state accolte poi a giugno dal ministero della salute, che effettivamente ha modificato le linee di indirizzo della ru486 - e siano spazi in cui è possibile abortire.
Abbiamo tutte gioito a giugno, però sono passati sei mesi e questa gioia è diventato un sorriso amaro perché, già lo sapevamo, si è palesato come l'organizzazione regionale della sanità, in particolare rispetto a una questione così politica come l'aborto, stia portando al fatto che in realtà queste linee di indirizzo non stanno venendo applicate dappertutto e non in modo omogeneo. Ci sono regioni come la Marche e l'Abruzzo che hanno già detto che non le applicheranno, regioni come il Piemonte che vogliono fare entrare dalla finestra i pro life e questo porterà a un'ulteriore forte disparità tra una regione e un’altra, un’ulteriore forte disparità anche di accesso a un diritto (se ti ritrovi nelle marche non hai la stessa possibilità di accedere all’IVG rispetto all'Emilia Romagna o la Toscana).
La grossa domanda da adesso in poi è capire come queste piccole istituzioni dal basso che stiamo creando possano diventare istituzioni universali e gratuite, cioè come queste pratiche che abbiamo iniziato a mettere in atto durante la pandemia possano essere anche dei nodi con cui ridiscutere insieme appunto di ridistribuzione della ricchezza, di welfare pubblico di sanità pubblica, di come questi spazi possano essere veramente degli spazi in cui lottiamo per la riappropriazione della democrazia delle infrastrutture sociali.